lunedì 23 dicembre 2013

Ensalada de Nochebuena



Già dal nome si percepisce che si tratta di un piatto Natalizio. Ensalada de Nochebuena è un'insalata di frutta e verdura del Messico che si prepara per la Vigilia di Natale. Ideale per dare un tocco di freschezza ai piatti ricchi e speziati che spesso si trovano sulla tavola. Ci sono diverse versioni di questa festosa insalata, ogni famiglia aggiunge la frutta e la verdura che preferisce. Di base, però, dovrebbero esserci le rape rose, la lattuga romana, le arance, il melograno, la mela rossa e la jicama. Quest'ultimo ingrediente è un tubero che si consuma principalmente come frutta. Ha una forma tondeggiante con la buccia color crema che si spella facilmente. La polpa è bianca, succosa e leggermente dolce. La consistenza potrebbe ricordare una pera o una mela croccante. Perciò, non potendola trovare qui, l'ho sostituita con la mela verde per una ragione estetica; l'alternanza del colore rosso e verde della mela fa subito Natale!

Per 6 persone

2 rape rosse, cotte e sbucciate
3-6 ravanelli
1 cespuglio lattuga romana
1 cespuglio insalata gentile
2 arance Navel
1 mela rossa Annurca
1 mela verde Granny Smith
Il succo di 1 limone
1/2 melograno
Un cucchiaio semi di zucca e/o le arachidi tostate
Una manciata foglia di coriandolo fresco

Salsa
125 g panna acida o yoghurt al naturale
Circa 3 cucchiai succo di arance
1 cucchiaino raso zucchero
Sale, a piacere

Tagliate le rape e i ravanelli a fettine sottili. Sbucciate il melograno e ricavate i semi. Tagliate la lattuga romana a quadretti.
Togliete il gambo e sfogliate l'insalata gentile e disponetela a modo di fiore sul fondo del piatto. Sistemate le fettine di rapa rosa sopra l'insalata.
Tagliate a vivo le arance e ricavate gli spicchi senza prendere le membrane bianche, tenendole su una ciotola per raccogliere il succo che fuoriesca che vi servirà per fare il condimento.
Levate i torsoli delle mele e tagliatele a spicchi sottili di 1 cm circa. Bagnatele con il succo di limone per prevenire l'ossidazione.
Sistemate le mele e le arance a modo circolare, o come piace a voi, la lattuga romana e i ravanelli al centro.
Cospargete i cicchi di melograno, i semi di zucca e le foglie di coriandolo in modo omogeneo. Condite con la salsa allo yoghurt all'ultimo minuto, giusto prima di servirla.
Per la salsa, mettete tutti gli ingredienti in una ciotola e mescolate. Irrorate sull'insalata.

mercoledì 18 dicembre 2013

Bir Pletok



Se il vin brulè sposasse la birra e diventassero astemi, cosa potrebbe nascere dall'unione? Avrei la risposta e si chiama Bir Pletok! La leggenda narra che questa bibita nacque secoli fa come un tentativo degli abitanti di Jakarta (la mia città natale, all'epoca si chiamava ancora Batavia) di replicare la birra. Vedevano gli Olandesi che assaporavano questa bevanda schiumosa e ghiacciata, ma non sapevano esattamente cosa fosse. L'accesso all'originale birra era impossibile per la gente comune, solo i nobili in stretto contatto con i conquistatori potevano permettersela. Girava la voce che la bibita fosse dissetante e scaldasse la pancia, perciò, non avendola mai assaggiata, gli Indonesiani hanno provato a ricrearla usando lo zenzero e altre spezie. Per avere l'effetto schiumoso, Bir Pletok veniva shakerato in una canna di bambù con del ghiaccio. Bir vuol dire birra, ovviamente una parola Olandese acquisita, mentre la parola Pletok viene dal rumore che si crea quando il ghiaccio sbatte contro le pareti del bambù. Quanto siamo pragmatici! ;) Anche se si serviva principalmente fredda, Bir Pletok è una bevanda gradevole da bere anche calda, soprattutto nelle giornate di pioggia.

Bir Pletok che si trova a Jakarta solitamente è più ambrato con un leggero accenno violaceo che viene da scaglie di legno Secang, usate per dare il colore. Secang è una pianta della famiglia Fabaceae (leguminose) con dei fiori gialli e il tronco rosato. Non potendola trovare qui, l'ho sostituita con il suo cugino Africano, Rooibos, che dà un colore tendente al rame.

Per 2 tazze

600 ml di acqua
2 cucchiai di zucchero di canna
30 gr di zenzero fresco, a fettine sottili
1 stecca (5 g) di cannella
3 chiodi di garofano
3 baccelli di cardamomo
3 grani di pepe di Giava o pepe nero
2 foglie di kaffir lime fresche*
1 cucchiaino di Rooibos

Disponete tutti gli ingredienti in un pentolino a fiamma media-alta e portate a bollore. Abbassate la fiamma al minimo e continuate a sobbollire per 15 minuti fino a quando il liquido sarà di un colore ambrato.
Filtrate con un colino a maglia fina per scartare le spezie e le impurità. Trasferite in una brocca termoresistente e frullate con il minipimer per qualche istante per creare la schiuma.
Per poter incorporare più aria, inclinate leggermente il contenitore e tenete le lame del minipimer sulla superficie del liquido.
Servite subito prima che la schiuma, essenziale per ottenere l'effetto birra, sparisca. Volendo, sopratutto d'estate, potete shakerare Bir Pletok con del ghiaccio per servirlo freddo.

*Kaffir lime è una varietà di lime molto diffusa nel Sud Est Asiatico; è grande circa come una pallina da golf, di colore verde con la buccia ruvida come l'arancia amara. Ha poco succo perciò si usano principalmente le foglie, dal profumo aggrumato molto intenso.  Si possono trovare essiccate o surgelate nei negozi di alimentari Asiatici. Raddoppiate la dose se usate quelle secche, visto che sono molto meno profumate. In mancanza, potete sostituirle con delle foglie di limone o lo zest del lime o del limone: otterrete un profumo diverso ma comunque gradevole.

venerdì 22 novembre 2013

Boreto (Quasi) alla Gradese di Calamari e Seppioline



In attesa del mio racconto sull’esperienza a Ein Prosit il weekend scorso, vi do una ricettina di un piatto tipico della regione FVG, così Luca non mi può dire che non mi impegno abbastanza! :p Oggi è venerdì, quindi, pesce! Evvabé, molluschi, dai! ;)

Il Boreto alla Graisana o boreto alla gradese è un piatto tipico dell'Isola di Grado. Un piatto povero che veniva preparato dalle famiglie dei "casoner" -  pescatori che una volta abitavano stabilmente nei casoni nella Laguna di Grado - per utilizzare i pesci non venduti della giornata. Tradizionalmente, quindi, si preparava con del pesce misto e, a volte, anche con dei molluschi. Originariamente veniva cotto nel "paveso", una casseruola di ferro che non veniva mai lavata. Essendo un piatto umile, si usava l'olio di semi in cui venivano rosolati spicchi di aglio interi fino a farli diventare neri, prima di aggiungere i pesci, l'aceto e l'abbondante pepe nero che lo caratterizza. Gradesi, ditemi ora se sbaglio o tacete per sempre! :))
Per alcune considerazioni di natura salutistica, questa ricetta è stata adattata e non segue fedelmente il metodo di cottura tradizionale.

Per 2-3 porzioni

300 gr di seppioline pulite
300 gr di calamari puliti
100 ml di olio extra vergine di oliva (versione originale olio di semi)
2 spicchi di aglio interi
50 ml di aceto di vino bianco (versione originale 200 ml di aceto di vino rosso)
50 ml di acqua (versione originale 200 ml)
Abbondante pepe nero
Sale grosso, q.b.

Scaldare l'olio in un tegame con un fondo pesante a fiamma bassa. Rosolate l'aglio fino a quando diventerà marrone.
La ricetta originale prevede che l'aglio diventi nero e che l'olio sia fumante, valutate voi se vale la pena di ostruire le arterie in questo modo! ;)
Aumentate la fiamma quasi al massimo e unite i calamari e le seppioline, rosolate per un paio di minuti fino a quando saranno un po' dorate.
Aggiungete l'aceto, l'acqua, il sale grosso e abbondante pepe nero, preferibilmente macinato sul momento.
Abbassate la fiamma a media e continuate la cottura per circa 30 minuti fino a quando le seppie e i calamari saranno teneri, il liquido si sarà ridotto e diventato salsa. Servite caldo con della polenta bianca morbida.

giovedì 14 novembre 2013

Ein Prosit XV!


La 15° edizione di Ein Prosit parte oggi alla grande! Due nomi stellati della cucina italiana aprono i battenti della prestigiosa manifestazione organizzata dalla Co.pro.tur del Tarvisiano. In primis, lo chef friulano Andrea Canton del Ristorante “La Primula” di San Quirino (PN) terrà una cena intitolata “Il Giallo” che fa parte delle tre cene colorate “Welcome Home” in cui gli chef saranno ospitati nelle cucine di tre famiglie Tarvisiane. Nelle prossime serate ci saranno la chef Antonia Klugmann del Ristorante “L’Argine” di Dolegna del Collio con “Il Marrone”, un menù ispirato all’autunno; e lo chef Massimiliano Sabinot dello storico Ristorante “Vitello d’Oro” con “Il Verde”.

L’altra cena che inaugura l’evento è quella di uno chef a me molto caro, Igles Corelli. Chi mi segue da tempo forse si ricorda che più di due anni fa (da quando aggiorno pochissimo il blog, insomma ;) ), ho partecipato a un talent show del Gambero Rosso Channel in cui sono arrivata seconda. Ebbene, nel programma ho avuto lo chef Corelli come mentor e, quindi, una parte della mia conoscenza ora, la devo alla sua bontà e generosità. A malincuore stasera non riuscirò ad andare alla sua cena ma, mi raccomando, cercate di andare voi e poi fate tante foto e me la raccontate, d’accordo? La serata si terrà a La Baita di Beatrice a Val Bartolo Camporosso con la collaborazione della Macelleria Zivieri: è un evento imperdibile soprattutto per gli amanti della ciccia! ;) Se vi ho convinto ad andare, cliccate qui per prenotare i posti.

Altri nomi importanti non mancano, quest’anno le stelle della cucina italiana d’autore brillano a Malborghetto e Tarvisio per Ein Prosit. Mi verrebbe un post troppo lungo se le nominassi tutte! Intanto, in agenda ho segnato gli incontri “Alta Scuola dei Sapori” curati da Paolo Marchi che coinvolge lo chef Sloveno Tomaž Kavčič, Ciro Salvo, Peppe Stanzione, Daniela Cicioni e Paolo Parisi. Poi, da amante dei dessert, non potrò sicuramente mancare ai laboratori e degustazioni di Gianluca Fusto e Loretta Fanella. Se siete appassionati di vini, allora meglio prenotare subito un albergo a Malbroghetto, così ci dovete solo andare a piedi, per seguire i laboratori di Bepi Pucciarelli  e i vari incontri e degustazioni guidate dai vari professionisti del settore, come Giampaolo Gravina, Gian Luca Mazzella, Alberto Lupetti, Paolo Ianna e Luca Gardini.

Parlando dei laboratori, ovviamente non potete non venire al mio! :p Terrò una lezioncina sulle spezie della mia zona natia, sempre in compagnia dell'ormai consolidato sponsor, lo speziale ;) Gianluca Mingotti di Petit Lorien. Prendete nota; Sabato 16 novembre, ore 11.30 (mettete la sveglia!) a Casa Oberrichter a Malborghetto. Ci sono ancora alcuni posti disponibili, perciò cliccate subito qui per prenotare i vostri! :)

Se non vi interessa seguire le varie cene o i vari incontri e laboratori, c’è la zona Mostra Assaggio presso il Palazzo Veneziano, sempre a Malborghetto, dove sono presenti le migliori aziende vinicole dell’Italia, del FVG e della vicina di casa, la Slovenia. Non vi preoccupate se, come me, non reggete l’alcool ma riuscite ad assaggiare qualsiasi cosa, c’è la parte culinaria con i vari prodotti di eccellenza della nostra terra e della porta accanto.

A chiudere l’evento, sempre in grande, ci sarà uno dei miei miti culinari, la ragione per cui spesso salto le lezioni di Spagnolo per seguire i suoi corsi, lo Chef Emanuele Scarello del Ristorante Agli Amici di Godia (UD). Assieme allo Chef Gianni de Cillia del Ristorante Valle Verde di Tarvisio, presenterà “Amarcord… Domani”; una proposta dei piatti del territorio e delle sue contaminazioni nella loro versione tradizionale e innovativa.

Sicuramente ho tralasciato tanti nomi importanti, è impossibile nominarli tutti, soprattutto perché ora devo andare a fare la spesa! :) Per non perdervi nulla, il programma completo in pdf è scaricabile qui.

Ein Prosit XV è una edizione speciale per me, perché oltre ad avere l’onore di poter tenere una lezione mia, parteciperò attivamente come blogger. Lo so, ormai lo faccio solo quando non riesco a declinare le richieste delle mie amiche-colleghe! :p Ma vi prometto che non vi illuderò! Non posso promettervi dei post, ma vi tempesterò soprattutto con dei tweet e delle foto su instagram, in modo che possiate sbirciare l’evento quanto volete. Incrociamo le dita soltanto che il cellulare non prenda il segnale austriaco, altrimenti sono cavoli! ;)

Assieme a me questa volta ci sarà la mitica Rossella di Bidino che ha preso ferie per venire a Ein Prosit e le mie compagne di mangiate e risate Valentina Cipriani, Alessandra Colaci, e Giulia Godeassi. Ahinoi, Chiara Selenati e Micaela Liberati stavolta non riescono a partecipare. Per seguirci in questi prossimi quattro giorni, basta digitare l’hashtag #5xEinPrositXV su facebook, twitter e instagram. Anche voi, se postate qualcosa quando siete all’evento, mettete pure l’hashtag #EinProsit2013, saremo contenti di vederli! Bis bald! :)

lunedì 14 ottobre 2013

Cupcake al Cioccolato e Fico



Sto passando delle giornate impegnatissime in queste ultime 2 settimane e ne avrò almeno altre due così! Aiutoooo! Però, giusto per non farvi pensare che stia sparendo di nuovo, ecco una ricetta di un dolcetto! L’ho fatto circa un mese fa, quando i fichi si trovavano in abbondanza. Se non riuscite più a trovare gli ultimissimi dall’albero dei vostri vicini di casa, potete sostituirli con le pere, magari quelle minutine di tipo Coscia. In questo caso, penso vi basterà un quarto di pera per ogni cupcake. Levate il torsolo, però!

per 6 cupcake

60 gr burro morbido (non sciolto!)
60 gr zucchero
1 uovo
50 gr farina autolievitante
15 gr cacao amaro
3 fichi

Montate il burro morbido con lo zucchero con una frusta elettrica, a pomata, fino a quando si sia raddoppiato di volume e abbia raggiunto una colorazione pallida. Inserite e amalgamate l'uovo. Non vi preoccupate se il composto sembra che si stia cagliando o separando. Diventerà di nuovo liscia quando aggiungerete gli ingredienti secchi.
Mescolate la farina con il cacao e setacciate. Unite delicatamente al burro montato con la spatula.
Rivestite gli stampini di muffin con i pirottini e riempiteli con l'impasto fino a 2/3 dell'altezza. Vi consiglio di usare il dosa gelato per questo procedimento, una pallina di impasto per ogni pirottino.
Sbucciate i fichi e divideteli in due. Inserite mezzo fico al centro di ogni cupcake con il lato tagliato in su.
Infornate a 170°C (ventilato) per circa 15 minuti fino a quando i fichi si siano leggermente caramellati e i cupcake siano cotti. Controllate inserendo uno stecco di bambù diagonalmente, visto che nel mezzo c'è il fico! ;)
Lasciate raffreddare prima di decorarle con la ganache montata.

Ganache al cioccolato
100 gr cioccolato fondente al 70% cacao
100 ml di panna fresca

Scaldate la panna su una fiamma dolce fino a raggiungere quasi il bollore. Spegnete il fuoco e unite il cioccolato a pezzi piccoli. Mescolate con la frusta o il mini pimer fino a quando il cioccolato si sia sciolto.
Adagiate il pentolino su un boul di giacchio e montate con la frusta fino ad ottenere una crema montata.
Inserite nella sac a poche con una bochetta a stella chiusa e decorate le cupcake con la crema.
Ho trovato questo tutorial molto utile per capire come fare delle rose con la ganache o la crema al burro.
Quando fa freddo, come lo è già in questo periodo, la ganache si solidifica velocemente e dovete usarla subito per poterla lavorare facilmente. Se vedete che la crema fa fatica a uscire dalla bocchetta, lasciate un attimo che arrivi alla temperatura ambiente. 
A dire la verità, ho scoperto che il phone per i capelli funziona una meraviglia per aiutarci in questa fase. :p Accendetelo al minimo, tenete distante di circa 20 cm dalla sac à poche e scaldate girandola di continuo. Questo serve per "staccare" la parte esterna della crema dal bordo della sacca e farla scivolare meglio.
Questa quantità di ganache è sufficiente per coprire 6 cupcake con delle rose grandi o 12 cupcake con delle rose piccole.

mercoledì 18 settembre 2013

Le Nuove Vie delle Spezie con Petit Lorien


Giusto una piccola informazione di servizio, perché magari dimenticate di cliccare ogni tanto il link sui corsi che trovate sulla barra laterale! ;)
Sta ripartendo il nuovo ciclo di lezioni sulle spezie in collaborazione con Petit Lorien Udine. L'avete sentito nominare forse nel post in cui vi ho raccontato la scoperta della preziosa fava tonka. Ebbenè, chi mi segue su facebook forse sa già che dalla primavera scorsa ho iniziato a collaborare con l'azienda e abbiamo tenuto il primo ciclo dei corsi sulle spezie preso l'Associazione GEM Nutrivita a Feletto Umberto (Udine), la sede principale delle mie lezioni di cucina. 
Vista la risposta positiva, abbiamo pensato di proporre un altro ciclo di incontri alla scoperta delle spezie di altre aree geografiche. Se siete interessati, trovate le informazioni sull'immagine sottostante. Per maggiori dettagli potete contattare direttamente l'associazione o mandarmi una e-mail, d'accordo? ;)


Intanto ho pensato già al menù della prima lezione, definirò più avanti gli altri due e, mano a mano, li posterò sul sito.

Börek: Sigaro di pasta filo con spinaci e feta
Ezogelin çorbası: Zuppa di bulghur e lenticchie con menta e sommacco
Man'ouche: Pane arabo allo Za'atar
Kebab Mashwi: Spiedini di carne speziati al Baharat*
Labneh: formaggio fresco allo yogurt fatto in casa
Fattouche: insalata di lattuga, pomodoro e cetriolo al sommacco con pane croccante
Qatayef (Pancake arabo ripieno di ricotta) con pere sciroppate al cardamomo 

*un'alternativa vegetariana sarà preparata su prenotazioni.

Ah, giusto per prepararvi mentalmente, per le norme di sicurezza imposte alle associazioni culturali, durante i corsi non potete mettere le mani in pasta. Mi starete vicini ma niente coltelli in mano! ;) Poi, alla fine della serata, ci sediamo tutti attorno ad una tavola a cenare assieme. Asociali, siete avvisati! :p

domenica 15 settembre 2013

Branzino al Karkadè e Olio di Campeglio con Raita di Barbabietola



Perdonate l’ignoranza, ma fino a quando ho avuto questo compito di scrivere un post e dedicare una ricetta al Frantoio di Campeglio per questo progetto “6xFriuliDOC”, non conoscevo l’esistenza. Visto il clima, non immaginavo che ci fosse una produzione di olio extra vergine anche a Udine! Nella nostra regione pensavo ci fosse soltanto l’olio Giuliano, del Carso, il tergeste DOP. Ebbene, mi sbagliavo!
E’ proprio a Campeglio di Faedis, nei Colli Orientali del Friuli, accanto ai ruderi dell’antico castello di Soffumbergo, in una zona protetta dai venti e con un inverno particolarmente mite, si trovano numerosi antichi olivi che hanno dato l’idea a Gianni Zamarian, figlio di Giovanni Zamarian, dell’Azienda Agricola San Rocco, di incrementare la coltivazione e di iniziare, così, la produzione dell’olio dal 1995. Qui, Fabiana Romanutti della rivista Q.B. racconta la storia della famiglia e dell’azienda.

Ora, oltre 5000 alberi stanno dando frutti a un olio extra vergine di oliva di altissima qualità, ottenuto solo dalla prima spremitura, a freddo per sgocciolamento con macine in pietra, riprendendo l’antica tradizione olearia del Friuli. Per questa ragione, si riescono a ottenere solo 5-6 kg di olio per ogni quintale di olive raccolte. Considerando, poi, che ogni bracciante riesce a raccogliere solo 80-100 kg di olive al giorno, si può capire il perché un olio extra vergine fatto a dovere con amore, possa avere un costo così elevato. Così mi racconta Sandra Zamarian, la figlia di Gianni. Un altro segno di qualità è il fatto che l’olio extra vergine di oliva di Campeglio non si filtra ma si lascia a decantare naturalmente.
Tutta questa cura dà risultato a un olio dolce e fragrante, con una bassa acidità e un aroma fruttato. Per apprezzare al meglio le sue proprietà, vi consiglio di usarlo a crudo, sulla bruschetta o sui carpacci di carne o, meglio ancora, di pesce. Sarebbe davvero un peccato usare questo olio per cucinare!

C’è, però, un accorgimento molto importante che dovete fare quando preparate delle pietanze che coinvolgono i pesci crudi. Innanzitutto, acquistate i branzini da un vostro pescivendolo di fiducia, poiché il pesce da mangiare crudo dovrebbe essere molto fresco per evitare dei rischi di contaminazione batterica e ridurre la probabilità di trovare gli anisakis. Non vi scrivo qui cosa sono, non vorrei spaventarvi troppo prima di leggere la ricetta! ;) Cliccate il link dopo per saperne i dettagli, ok? :)
Le larve di anisakis “dormono”, cioè non continuano il loro sviluppo a 0°C e muoiono dopo aver subito una temperatura di 60°C per almeno un minuto oppure -20°C per almeno 24 ore, come da regolamento (CE) n. 853/2004, o meglio ancora 36 ore a -18°C, come suggerisce il recentissimo Decreto del Ministero della Salute del 17 luglio 2013.
Tanti dicono che non si corre il rischio di anisakis nei pesci di allevamento, si trova soltanto in quelli pescati. A mio avviso, dato che poi nel banco pesce non c’è la separazione tra i due tipi, ci può essere comunque il rischio di contaminazione. Quindi, per un mio eccesso di scrupolo, in ogni caso, io congelo tutti i pesci prima di consumarli crudi. Ok, basta terrore, ora la ricetta! ;)

Per 4 porzioni

Branzino marinato
2 branzini medi (500 gr l'uno) o 1 grande
un cucchiaino (2 gr) di Karkadè in petali o 1 bustina
un cucchiaino (2 gr) di pepe Sichuan
circa 1/2 cucchiaino di sale grosso

Raita di Barbabietola
200 gr barbabietola, cotta al vapore 
1 vaschettina (125 gr) di yogurt bianco
Olio extra vergine di oliva di Campeglio
Sale, q.b.

Preparate l’infuso di karkadè con una tazza di acqua fredda, possibilmente imbottigliata o depurata, e lasciatela per una notte in frigorifero o per circa 8 ore a temperatura ambiente.
Se vi siete dimenticati di prepararla la notte prima, potete usare l’acqua calda che accelera il processo dell’infusione, avendo cura di togliere i petali dopo 2-3 minuti, per evitare che la tisana sia troppo acidula e tannica.

Sfilettate i branzini, privateli dalla pelle e dalle lische centrali. Una pinzetta specifica per fare questo lavoro potrebbe essere molto utile.
Se non siete sicuri di poter farcela, chiedete al vostro pescivendolo di farlo per voi. In linea di massima, se siete dei clienti fedeli e non avete mai rotto le scatole più di tanto :), ve lo dovrebbe fare senza problemi.  Altrimenti, guardate questo video prima di massacrare quei poveri pescetti. 

Dopo aver ricavato dei bei filetti di branzino, tagliateli a fettine sottilissime, più sottile che potete, con la lama del coltello tenuta a 90°, perpendicolarmente alla spina centrale. Non mi sono spiegata? Allora guardate questo video. Tagliate il branzino così, ma molto più sottile, circa 3 mm, se riuscite. 

Pulite il pepe Sichuan dai semini neri che potete trovare all'interno delle bacche, almeno che non l'abbiate comperato di altissima qualità, allora potrebbe essere che sia già priva di semini.
Tostatelo con il sale grosso a secco a fiamma dolce. Quando sentite il profumo e le bacche iniziano a imbrunire e a schioppettare un po', trasferite nel mortaio e riducete in polvere per ottenere il sale al pepe Sichuan.

Prendete un contenitore ermetico, magari non di acciaio, adagiate i vostri “petali” di pesce delicatamente. Coprite con 2/3 dell’infusione di karkadè, condite con un pizzico di sale al pepe Sichuan e un giro di olio di Campeglio. Coprite e lasciate a marinare in frigorifero almeno 30 minuti e non più di 2 ore.
Nel frattempo, preparate la raita. Tagliate la barbabietola a dadini piccoli di 3x3mm circa. Trasferite in una ciotola e unite lo yogurt, il sale e l’olio di Campeglio, quindi, mescolate.

Disponete le vostre fettine di branzino su dei piatti piani in modo che preferite, a petali o a soldatini. Irrorate con 1/3 dell’infusione di karkadè rimasto e di un altro giro di olio.
Adagiate circa un cucchiaino di raita su ogni fettine di pesce e, infine, una spolverata di sale di pepe Sichuan. Guarnite con qualche bacche intere di pepe e dei fiocchi di sale per dare un podi croccantezza.

Perfetto con il pesce e la dolcezza della barbabietola, Giulia ci suggerisce la Malvasia del Carso come giusto abbinamento. E' un vino profondo e succoso, di finissima aromaticità e grande suadenza. Dal colore giallo dorato al naso di presenta fruttato, speziato e minerale con note di erbe aromatiche, miele e orzo. Il gusto è fresco, sapido e persistente.
Quasi Dimenticavo; dopo il Friuli DOC, potete acquistare l'olio extra vergine di Campeglio direttamente al frantoio, al ristorante Alla Vedova Udine di proprietà della famiglia e in alcuni negozio specializzati; La Boutique della Frutta a Paderno (Udine), Garlatti a San Daniele e Il Cjanton a Gemona. Inoltre, è possibile visitare l'azienda il sabato dalle 16 alle 19 o durante la settimana previo appuntamento, chiamando allo 0432 470291

giovedì 12 settembre 2013

Crema di Patate al Timo con Canestrelli e San Daniele


Il mio primo pasto in Italia, 12 anni fa, fu il prosciutto di San Daniele, accompagnato da melone, pane e grissini. Fu una sera a fine marzo e la temperatura segnalò circa 15°C. Ecco quanto ci teneva la mia suocera a farmi conoscere questo ben di Dio, l’orgoglio di tutti i Sandanielesi e sospetto anche di tutti i friulani. Il Comune, giustamente, lo celebra con un evento annuale; Aria di Festa.
Ho vissuto per 4 anni nella graziosa cittadina e tuttora, per ragioni famigliari, continuo a frequentarla. Ci tengo così tanto a non sbagliare e non dire cavolate che ho le mani congelate mentre sto scrivendo questo post! :D Ci vorrebbero dei giorni per raccontare la storia di questo pregiato prosciutto, e non sono certo né la persona adatta né la più esperta per farla. Posso presentarvi mia suocera e mio cognato se volete! Sono loro che hanno lavorato per anni in un prosciuttificio! :p

Il microclima sembra sia spesso la ragione del perché un prodotto specifico venga meglio in una determinata zona. Questo è anche il caso del prosciutto di San Daniele, DOP, mi raccomando. La sua posizione geografica, a metà tra le Alpi e il mare Adriatico, e in prossimità del fiume Tagliamento, ha come risultato una ventilazione permanente della zona che assicura un ambiente né troppo umido né eccessivamente secco, ideali per la stagionatura dei prosciutti. Certo, non basta avere una posizione geografica avvantaggiata per avere dei buoni prodotti, ci vorrebbero vigore e rigore per mantenere la qualità degna della sua fama internazionale. Qui entra in gioco il Consorzio.
Il Consorzio fu costituito nel 1961 con lo scopo di tutelare il nome Prosciutto di San Daniele e di stabilire delle regole e delle norme che fossero obbligatorie e uguali per tutti i produttori. Per sapere di più su chi sono i suoi membri e sui suoi impegni da oltre 50 anni, vi rimando al sito, tra l'altro molto completo e ben fatto. Troverete tutto quello che volete sapere sul San Daniele DOP, dal momento dell'allevamento fino a quando arriva finalmente sulla vostra tavola. Per i non amanti della lettura, c'è anche un video.

Prima di arrivare alla ricetta vi do soltanto alcune curiosità sul prosciutto di San Daniele. Innanzitutto, egoisticamente parlando, mi sento un po' meno in colpa quando lo consumo, perché il Consorzio garantisce che i maiali da dove derivano i prosciutti hanno avuto una vita felice. Devono, poi, essere stati allevati in dieci regioni del centro-nord Italia (FVG, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria). In più, sono stati lavorati nel rispetto di un'antica tradizione; ricreando il ritmo naturale delle stagioni, con l'utilizzo del sale marino, senza additivi chimici o conservanti.
Come riconoscerli? Brevissimamente, quando i prosciutti sono interi, devono avere l'inconfondibile forma di chitarra con la zampa attaccata e il marchio del Consorzio "tatuato" sulla pelle. Quando li trovate già preaffettati, devono riportare il marchio sul lato sinistro superiore della confezione. Ci sono anche altri modi più dettagliati, che potete scoprire cliccando qui. Mentre qui, potete scaricare delle nobili interpretazioni dei grandi chef stellati, pensate per il nobile prosciutto.  

Ora, la mia umile ricetta! Anche se, io preferisco consumarlo avvolto su un grissino, magari quello del panificio Orlandi ad Adegliacco o quello di Resiutta! :) 

per 2 porzioni

10 canestrelli o 6 capesante
600 gr di patate di Godia / kennebec
1 scalogno, tritato
circa 6-700 ml brodo vegetale/ acqua
50 gr fettine di prosciutto di San Daniele DOP
2 rametti di timo
sale, q.b.
pepe di Giava/ pepe bianco, q.b.
olio extra vergine di oliva

Preparate 700 ml di brodo vegetale con la stessa procedura che ho scritto nel post precedente. Visto che ne occorre di più, raddoppiate la quantità delle verdure.  
Preriscaldate il forno ventilato a 125°C. Lasciate una fetta di prosciutto a parte e adagiate il resto su una placca da forno, sistemando le fette tra due fogli di carta da forno. Infornate per 20 minuti circa fino a quando il prosciutto risulta croccante.
Potete anche cuocerlo in padella con un goccio di olio, risparmierete tempo ma sarà meno croccante e non avrete delle belle fettine lisce.Nel frattempo, sbucciate le patate e tagliate a tocchetti piccoli, in modo che si cuocia in 15 minuti circa.
Stufate (non soffriggete!) lo scalogno con un filo di olio, aggiungete magari due cucchiai di brodo per evitare che si bruci e si frigga. Altrimenti lascierà un sapore sgradevole di cipolla bruciata alla vostra crema.
Quando lo scalogno sarà trasparente e il profumo sarà dolce e non più pungente, unite le patate. Rosolate per un paio di minuti con un pizzico di sale, quindi, aggiungete il brodo. Coprite e lasciate che la zuppa prenda il bollore prima di inserire il timo. 
Lasciate il timo in infusione per circa 5 minuti e toglietelo. Serve solo a dare un po' di profumo alla zuppa. Se lo lasciate di più inizierà a disperdere le foglie e lascerà un retrogusto amarognolo.
Appena riuscite a sfaldare i tocchetti di patate facilmente con una forchetta, pepate e frullate la vostra zuppa per ottenere una crema liscia. Uso di solito quello a immersione. Aggiustate di sale se occorre e aggiungete un po' di brodo se la crema vi risulta troppo densa.
A questo punto il vostro prosciutto croccante sarà ormai pronto. Lasciate 2 fettine intere per decorazione e triturate il resto con il mini robot o una macina spezie. 

Dando per scontato che abbiate chiesto al vostro pescivendolo di pulire i canestrelli o le capesante, conditeli con il sale, il pepe di Giava e un filo di olio. 
Scaldate una padella (di ghisa o antiaderente) a fiamma media-alta. Rosolate la fetta di prosciutto che avete messo a parte con un filo di olio e un rametto di timo.
Scottate i vostri canestrelli brevemente in questo olio profumato, basterà un minuto per lato, altrimenti perderanno la loro morbidezza. Se usate le capesante, scottatele per 2-3 minuti su ogni lato. Con quello che costano, sarebbe davvero un peccato stracuocerle! ;)
Dividete la crema in due piatti fondi. Impanate i canestrelli con il prosciutto triturato e adagiateli delicatamente sopra la crema. Guarnite con qualche foglia di timo, un giro di pepe, un filo di olio e, infine, la "vela" di prosciutto.
Visto che non dovete fare la foto alla crema, consumatela calda! :)


Stavolta Giulia ci consiglia un Pinot Bianco. Questo vino presenta un color giallo paglierino con riflessi verdognoli e un profumo delicato, con sentori che richiamano frutti del sottobosco e tenui note di rosa canina, a volte mela renetta, a volte frutta esotica che con l'invecchiamento si trasformano in erbe aromatiche, note affumicate e di mandorla amara Il gusto armonico e molto caratteristico, dal sapore morbido e delicato, con ottima freschezza e finale vivace agrumato, perfetto per questo piatto.


lunedì 9 settembre 2013

Insalata di Couscous al Curcuma con Trota di San Daniele



Anche stavolta vi parlerò di una cittadina friulana rinomata nel settore gastronomico, San Daniele del Friuli, soprattutto per due specialità, il prosciutto crudo e la trota, il re e la regina. Del re parlerò più avanti. Come da regola del galateo, prima le donne, quindi, ora vi racconto un pochino della regina.

La storia della regina iniziò oltre 30 anni fa quando Giuseppe Pighin gettò un migliaio di avannotti di trota sul laghetto di Villanova, una piccola frazione del comune. Passò le sere ad accudirli per alleviare lo stress della giornata, li pescò e fece delle generose grigliate domenicali con gli amici. Quello che all’inizio fu’ solo una passione, per il piacere di stare all’aria aperta, a stretto contatto con la natura e con il fiume Tagliamento, divenne negli anni un mestiere. Il laghetto si trasformò piano piano in un allevamento naturale. Da lì alla creazione della regina, il passo fu’ breve.

La regina di San Daniele è un filetto di trota salmonata salato a secco e affumicato a freddo con una particolare miscela di farine di legno, erbe e bacche aromatiche, ad una temperatura che non deve superare i 30°C, seguendo un metodo antico usato in Carnia. La trota regina è presentata intera o a filetti, confezionata sottovuoto con una lunghezza che varia da 20-40 cm. La consistenza vi potrebbe ricordare il salmone affumicato, ma con un sapore molto più delicato. Solo lei può essere chiamata la regina, mentre la trota affumicata al caldo assume il nome di Fil di Fumo.
Per stare al passo con le richieste e le necessità della vita moderna in cui il tempo scarseggia, la famiglia Pighin ha creato una serie di prodotti pronti al consumo, anche con altri tipi di pesce.  Da donna che pensa di essere sempre indaffarata, io sono una grande consumatrice di quest’ultima linea, Trota dello Chef; marinata, aromatizzata e cotta a vapore per raggiungere una morbidezza unica. In commercio si trovano quattro tipi, al naturale, alle erbe, alla mediterranea, e agli agrumi. Devo solo aprire la busta e consumare la trota direttamente. Per degustarla calda, bisogna solo metterla a bagno in acqua calda (con il suo sacchetto sottovuoto) per alcuni minuti. Più semplice di così! ;D 
Qui sotto, però, potete trovare una cosetta che cucino quando sono meno pigra. ;) Giusto per darvi un’idea su come potete usare la trota di San Daniele. Ci sono tante altre ricette a cui ispirarvi, pronte da scaricare sul sito dell’azienda.

Per 3 porzioni

1 bicchiere (160 gr) di couscous 
1 bicchiere (230 ml) di brodo vegetale o acqua bollente
1/3 di cucchiaino di curcuma in polvere
1 filetto di Trota dello Chef al Naturale
1 cucchiaio colmo (20 gr) di uvetta
1 cucchiaio colmo (20 gr) di mandorle a scaglie
2 pomodori San Marzano maturi
2 friggitelli
una manciata di prezzemolo
1/2 cucchiaino di sommacco o zest di limone
sale
olio extra vergine di oliva

Preparate un brodo vegetale in un pentolino con 2 bicchieri di acqua, mezza cipolla, mezzo gambo di sedano, una carota e un cucchiaino raso di sale grosso. Portatelo a ebollizione a fiamma media-bassa e lasciate a ridurre un po’ per concentrare il sapore delle verdure. Ci vogliono almeno 15 minuti, altrimenti il vostro brodo sarà ancora troppo leggero e saprà soltanto di acqua salata.
Potete semplicemente usare l’acqua salata bollente se non avete voglia di preparare il brodo, ma è davvero una sciocchezza e il sapore del vostro couscous migliorerà.

Nel frattempo, tostate il couscous a secco in una padella per alcuni minuti, rigirandolo spesso, fino a quando metà dei granelli sono leggermente più dorati. Tenete la fiamma bassa per evitare di bruciarlo. 
Create un piccolo vuoto al centro della padella, aggiungete un altro cucchiaio di olio e la curcuma. Soffriggete per circa un minuto la curcuma e mescolate il tutto, cercando di distribuirla omogeneamente su tutti i granelli di couscous. Spegnete la fiamma.
Bagnate il couscous con un bicchiere del brodo vegetale che avete preparato, coprite e lasciate a riposare per 10-15, fino a quando tutto il liquido si sarà assorbito del tutto e il couscous sarà tenero e raddoppiato di volume.
Sgranate con l’aiuto di una forchetta o, meglio ancora, sfregandolo tra le vostre mani. Lasciate a raffreddare a parte.

Sciacquate l’uvetta sotto l’acqua corrente per eliminare le eventuali impurità. Ammollatela in acqua tiepida per farla rinvenire. 
Tostate su una fiamma bassa le mandorle fino alla doratura desiderata.
Private la trota dalla pelle e sfaldate la polpa in piccole scaglie.

Private i pomodori dai semi e tagliateli a cubetti di 5x5mm circa. Scartate i semi dai friggitelli, togliete le membrane bianche e tagliate anche essi in dadini, più piccoli, di 3x3mm circa. Infine, tritate il prezzemolo finemente e trasferite tutte le verdure in una ciotola capiente. Condite con un pizzico di sale, il sommacco e un giro di olio. Mescolate e lasciate a riposare per 5 minuti.
Unite il couscous raffreddato, la trota, l’uvetta e le mandorle assieme al pomodoro e mescolate. Aggiustate di sale e olio se occorre, a vostro piacere. 
Servite fredda o a temperatura ambiente, come un primo leggero o, messi in bicchieri, come aperitivo stile finger food.

Vi ho incuriosito? Lo stand della trota di Villanova di San Daniele sarà presente a Friuli DOC nel Piazzale del Castello! :) 

Per questo piatto Giulia ci consiglia una Vitovska in Anfora. Questa tecnica di vinificazione riprende l'antichissimo utilizzo delle anfore di terracotta interrate, come avveniva agli albori della nascita del vino nel territorio del Caucaso. L'anfora ha la peculiarità di garantire una traspirazione del vino maggiore rispetto a contenitori di altri materiali, nutrendo lo sviluppo aromatico verso sentori ad alta complessità. Con questo principio, la Vitovska riposa nelle anfore a contatto con le bucce assumendo connotazioni aromatiche per poi maturare 2 anni nelle grandi botti di rovere. Solo così, la Vitovska riesce a mostrare i suoi lati migliori, regalando la possibilità di assaggiare un vino così come lo si sarebbe fatto quasi 2000 anni fa.
Presenta un colore giallo dorato intenso con riflessi aranciati e un profumo che regala sensazione di ossidato con mineralità e note di pera e pesca matura. Al gusto, sentori di frutta matura si legano a note iodate di grande freschezza, con un sottofondo speziato di chiodi di garofano e liquirizia in chiusura. Ottima con il pesce, l'uva passa e le spezie di questo piatto.

venerdì 6 settembre 2013

Tortilla de Patatas (di Godia)


I buongustai della regione sicuramente hanno già sentito parlare di Godia. Anzi, sono certa che questa piccola frazione di Udine è conosciuta anche dai foodies dell'intera nazione se non di tutta Europa. Perché? Perché l'unico ristorante del Friuli Venezia Giulia con due stelle Michelin sta proprio lì, nella piccola piazzetta del paese, proprio di fronte al campanile del Duomo. Immagino abbiate sentito parlare della famiglia Scarello del rinomato ristorante Agli Amici. Su di loro, prima o poi, ritornerò a parlare, di belle cose, ovviamente! :) 

Ora arriviamo alla seconda ragione della fama di Godia; le patate, a cui il paese dedica una sagra, ormai giunta alla sua 37° edizione, in corso proprio in questi giorni. Per chi non è riuscito ad andarci il weekend scorso, consiglio vivamente di farlo nel fine settimana, da oggi pomeriggio (venerdì 6) fino a domenica 8 settembre. Gli gnocchi che ho assaggiato erano buonissimi e meritano i 20 minuti di coda. Non vi preoccupate, vi passeranno velocemente perché sarete occupati a osservare le mani abili delle signore che preparano e impastano gli gnocchi, proprio davanti ai vostri occhi. Se poi ne vorrete un bis, dal 2007 Godia è anche presente alla kermesse Friuli DOC, quest'anno lo stand sarà in Piazza Garibaldi. 

Ciò che rende speciali le patate di Godia sono il microclima e le caratteristiche dei terreni in cui vengono coltivati, un pH leggermente acido e un buon contenuto di ferro, ideali per la coltivazione di questi tuberi. Se volete saperne di più, vi rimando al sito dell'ERSA FVG. A proposito, non è facile trovare queste preziose patate nei supermercati, molte delle aziende agricole locali le vendono in proprio. Questi sono giorni di raccolto e io sono andata a prenderle qui

Le patate di Godia hanno una forma tondeggiante ovale con una buccia liscia di colore bianco giallastro. La varietà coltivata nella zona dagli anni 60 è la Kennebec, d'origine americana, con una polpa bianca e farinosa. Proprio per questo motivo è particolarmente indicata per fare gli gnocchi, le minestre e la purea. Anche se, vista la sua resistenza alla cottura, è abbastanza versatile e si presterebbe a ogni tipo di preparazione.  

Considerando che Giulia ha appena fatto gnocs cun lis sespis, evito di darvi una ricetta di gnocchi. Poi, ho paura di non poter competere con 37 anni di esperienze della Sagra di Godia! ;) Ispirandomi dall'ultima lezione di cucina spagnola che ho seguito durante le vacanze, ho fatto una tortilla de patatas; uno dei piatti più classici della cucina spagnola che si può trovare dal bancone dei bar al mercato fino ai bar de tapas più rinomati. Ho notato che lo chef aveva usato delle patate a pasta bianca. Sono andata a informarmi dall'amico Google :) e ho scoperto che tanti suggeriscono di usare proprio la Kennebec, ergo, la ricettina di oggi! Vi avviso già che non è fatta per le persone che badano alla linea! :D 

Ah, gli ingredienti elencati bastano per una tortilla di 24 cm di diametro o 3 porzioni individuali. La quantità sfamerebbe 3-4 persone, ma se chiedete a me, ne basta solo per due (particolarmente golose)! :p 

800 gr patate di Godia 
250 gr (2 pezzi) di cipolle 
6 uova grandi 
sale, q.b. 
pepe, q.b. 
abbondante olio di oliva, per friggere 

Pa amb tomàquet / Pan tumaca (pane al pomodoro) 
2-4 pezzi di pane tipo ciabbattina/ baguette/ pugliese 
2-4 pezzi di pomodoro ramato molto maturo 
olio extra vergine di oliva 
aglio (facoltativo) 

Sbucciate e tagliate le patate a fettine sottili (3-5 mm circa) e friggitele in un'abbondante olio caldo. Cercate di mantenere la fiamma medio-alta. Se l'idea vi crea orrore, allora rosolatele in una padella antiaderente con poco olio. Il risultato finale sarà meno goloso ma è una scelta vostra. (Capisco se non avete voglia di andare a correre 7 km il giorno dopo per smaltire le calorie! ;)) 
Mi raccomando, se volete cambiare l'olio di frittura, potete farlo solo con olio extra vergine di oliva (ma sarebbe un peccato e uno schiaffo alla povertà. Dopotutto, la tortilla dovrebbe essere un piatto povero!) o l'olio di arachidi. Non vorrei dover dare spiegazioni al vostro cardiologo se usate altro tipo di olio.
Dopo circa 10 minuti, quando le patate iniziano a essere più tenere, unite le cipolle tagliate a strisce sottili quanto le patate. Salate e pepate leggermente e continuate la cottura fino a quando si formeranno delle crosticine dorate, ci vorranno altri 15-20 minuti. 

Nel frattempo, potete iniziare a preparare il pane al pomodoro. L'origine penso derivi dalla necessità di utilizzare il pane raffermo. Bagnando la mollica con la polpa del pomodoro, il pane si ammorbidisce e diventa di nuovo mangiabile. Nulla vi vieta di usare il pane fresco, a patto che la mollica non sia troppo soffice, altrimenti si sfalderebbe. 
Dividete i pomodori in due. Volendo potete anche togliere i semi, ma è un passaggio in più che non faccio. Tagliate il pane a fette e strofinate un lato con l'aglio (se vi piace) e la polpa di pomodoro. Di solito ci vuole una metà per ogni fetta, ma dipende sempre dalla sua succosità. 
Infine, irrorate con abbondante olio extra vergine di oliva. 

Appena le patate e le cipolle sono dorate, scolatele dall'olio con l'aiuto di un colino. Lasciatele a intiepidire un po'. 
A parte, rompete e sbattete le uova in un'ampia ciotola. Condite con un pizzico di sale per ogni uova e del pepe. Unite le patate alle uova e lasciate a riposare per circa 5 minuti per far "abbracciare" meglio i due elementi e far sì che i sapori si amalgamino. 
Scaldate la stessa padella calda in cui avete fritto le patate. Lasciate solo un filo di olio e friggete l’impasto di uova e patate. 
Quando la parte inferiore è dorata e i bordi iniziano a rassodarsi, girate la tortilla, aiutandovi con il coperchio. Spingete i bordi verso l'interno con un mestolo piatto per darla una forma più rotondeggiante. Fate dorare anche l'altro lato, per circa 3-4 minuti. L'ideale sarebbe fino a quando la parte esterna della tortilla è già soda mentre il cuore è ancora cremoso. Le uova non dovrebbero essere cotte del tutto. Se preparate questa tortilla anche per i bimbi, continuate pure la cottura fino alla completa coagulazione delle uova. 
Servite caldo con del Pa amb Tomàquet e magari una cerveza ghiacciata. 

Per i più raffinati, Giulia, la nostra futura enologa di fiducia, suggerisce di accompagnare questo piatto con uno Chardonnay. Questo vino se carico di molteplici aromi sta bene con i piatti a base di uova. Ha un colore giallo carico. Al profumo presenta note di fiori bianchi, pietra focaia e frutti tropicali. In bocca, invece, è elegante, a volte con un retrogusto di mela matura e miele. Si serve a una temperatura di 8-10°C.